lunedì 8 agosto 2011

Danza rituale del fuoco, di Manuel De Falla

La Danza rituale del fuoco è il brano più noto del grande balletto L'amore stregone composto dal musicista spagnolo Manuel De Falla per la ballerina gitana Pastora Imperio e messo in scena per la prima volta nel 1915.
“L'azione si svolge in un villaggio dell'Andalusia.
La bella gitana Candelas è stata, a suo tempo, innamorata di un giovane che, anche dopo essere stato ucciso in un duello, continua a tormentarla apparendole come spettro, e le impedisce in tutti i modi di accettare la corte del giovane Carmelo. Ogni volta che i due s’incontrano lo spettro appare per separarla dal fidanzato (come sottolinea la Danza del terrore, in cui gli amori defunti danzano intorno a Candelas). Tre gitane, per sconfiggere il maleficio, disegnano tre cerchi magici intorno alla giovane e, dopo la mezzanotte, invocano il potere purificatore delle fiamme della Danza del fuoco. Ma i sortilegi non hanno effetto e bisogna ricorrere ad altro per sconfiggere lo spettro. Allora Candelas convince la sua amica Lucia ad accettare la corte dello spettro, così Candelas e Carmelo possono scambiarsi il primo bacio d’amore, sprigionando quella forza della vita che mette definitivamente in fuga lo spettro.”
Nella Danza rituale del fuoco, Manuel De Falla diventa il cantore  della Spagna, laddove la cultura europea si fonde con le influenze moresche: egli celebra il fuoco come simbolo della supremazia della luce sulle tenebre, e lo fa con musiche inquietanti, insinuanti, sensuali e a volte esplosive, cariche di passione e di magia, dove si sente tutto il profumo dell’Andalusia.

Daniel Barenboim dirige la Chicago Symphony Orchestra



De Falla  trascrisse per pianoforte la pagina orchestrale della Danza rituale del fuoco mantenendo però lo stesso sinistro e cupo colore ed il carattere andaluso della musica.



giovedì 28 luglio 2011

Improvviso op. 66 n° 4, di Fryderyk Chopin

Questo brano è conosciuto anche come Fantasia-Improvviso, titolo erroneamente datogli da Julian Fontana, grande amico di Chopin e curatore di molti suoi lavori pubblicati postumi: il brano ha infatti la struttura dell’improvviso.
Fu scritto nel 1834 e  pubblicato postumo nel 1855.
L’Op.66 fu il primo Improvviso composto da Chopin, secondo il quale non costituì, come del resto gli altri, una composizione particolarmente significativa; nonostante questo rimane uno dei suoi pezzi più famosi.
Ancora oggi è sconosciuto il motivo che indusse Chopin a non pubblicare l’Op. 66. Secondo l’interpretazione dello Hedley, nel 1834, anno della composizione, l’autore inviò alle sorelle un volume di brani pianistici, non solo di sua invenzione, tra i quali vi era anche l’Improvviso op.89 di Moscheles. Tra la sua Fantasia-Improvviso e quest’ultimo esistono alcune analogie, soprattutto per quanto riguarda la linea melodica e l’andamento ritmico della prima idea tematica, anche se la composizione di Chopin supera di gran lunga quella di Moscheles. Pare comunque, sempre secondo lo Hedley, che il musicista, per evitare critiche o, peggio ancora, accuse di plagio, preferì lasciare il suo manoscritto in un cassetto.
Guida all’ascolto.
Il pezzo è caratterizzato lungo tutta la sua durata da un ritmo incrociato di gruppi di semicrome alla mano destra, e di terzine alla sinistra.
E’ un brano molto complesso tecnicamente, molto veloce e richiede una difficile sincronizzazione della mano sinistra.
Le idee tematiche sono due e profondamente diverse tra loro.
Nella prima sezione (Allegro agitato) un moto turbinoso ed incessante della mano destra, ricco di suoni fittissimi che si rincorrono in un clima affannoso, dove lo slancio verso l’acuto viene continuamente inibito da passaggi cromatici discendenti. L’accompagnamento della mano sinistra scorre in un ondulato ondeggiante.  
Quando si apre il secondo tema appare (Moderato cantabile) un canto  dolcissimo e lirico. Qui muta la tonalità che passa al maggiore (con un espediente tecnico, che si chiama enarmonia, Chopin modifica completamente il quadro di riferimento tonale senza passaggi di collegamento: all’ascolto, l’effetto è come di un incantesimo; non si avverte uno spostamento ma piuttosto una trasfigurazione). Si infittisce la cura per la micro dinamica che scende fino nelle più piccole sfumature, si generano inediti giochi timbrici, risaltano notevoli spunti di delicata fatture. Si tratta di una di quelle melodie che incantano e molto difficilmente si dimenticano.
Con la ripresa (Allegro agitato), il ritorno del tormentato tema iniziale interrompe il sogno, ma la quiete ritorna nella coda, quando, dopo un diminuendo, riappare come d’incanto, il tema lirico della parte centrale, ma eseguito in tonalità grave. Con esso si chiude la composizione, in un’aura di sollievo e speranza dopo la tempesta.

Valentina Igoshina, pianoforte







martedì 28 giugno 2011

Bolero, di Maurice Ravel

Il Bolero composto da Maurice Ravel nel 1928 è una musica per balletto, molto conosciuta  anche come pezzo concertistico.
Nel 1927 la celebre ballerina Ida Rubinstein chiese a Ravel di comporre per lei un balletto di ambientazione spagnola. Ravel cedette alle insistenze della Rubinstein, donna di straordinario fascino, e decise di orchestrare Iberia una composizione per pianoforte del compositore spagnolo Isaac Albeniz. Appreso però, qualche settimana dopo, che i diritti per la trasformazione in balletto del brano erano già stati venduti dagli eredi di Albeniz,  Ravel scelse di comporre un pezzo suo e compose un bolero, attratto dall'ossessività ritmica e dalla semplicità melodica di questa nota danza spagnola che, nata nel '700, si era rapidamente diffusa in Europa, destando l'interesse, fra gli altri, di Beethoven, Weber, Chopin, Berlioz, Auber e Verdi.
La danza e la Spagna, quindi, dopo la Rhapsodie Espagnole (1907), L'Heure Espagnole (1911) e Alborada del Gracioso (1923), si ritrovavano ancora una volta insieme in Ravel, a testimonianza di un ininterrotto interesse del compositore nei confronti del folclore musicale iberico.
Il Bolero andò in scena all'Opéra di Parigi il 22 novembre 1928, con Walter Straram sul podio e coreografie di Bronislava Nijinska, ottenendo, fin dalla sua prima rappresentazione, un clamoroso successo in virtù della sconcertante e provocatoria originalità sia della musica sia dell'invenzione coreografica: una donna danza su un tavolo, attorniata da un gruppo di uomini che gradualmente le si avvicinano in una sorta di ballo rituale carico di spiccato erotismo (successivamente se ne sono avute altre letture, anche molto diverse fra loro: si citano quella di Maurice Béjart, che attribuì la parte principale ad un danzatore, e quella "metafisica" di Aurél Milloss, nella quale un demone s'impossessa di un gruppo di avventori presenti in una sordida taverna).
La prima esecuzione come brano concertistico avvenne invece l'11 gennaio 1930 e fu eseguita sotto la direzione dello stesso Ravel.

Secondo la descrizione che lo stesso Ravel dà del pezzo, il Bolero "è una danza di movimento molto moderato e costantemente uniforme, tanto per la melodia e l'armonia che per il ritmo. Il solo elemento di diversificazione è costituito dal crescendo dell'orchestra".
Molti critici ricordano il momento storico in cui venne composto questo brano: erano trascorsi pochi anni dalla fine della prima guerra mondiale, ed il crescendo del brano, irresistibile ed implacabile, anche se sapientemente dosato grazie alla sottigliezza dell’orchestrazione (gli archi appaiono solo nel corso della tredicesima ripetizione del tema) fa pensare all’immenso caos che trascinò via con sé terribilmente il mondo dell’inizio del 1900.  
Il brano è strutturato dalla ripetizione di due temi principali A e B, di diciotto battute ciascuno, proposti da strumenti diversi. I temi si inseriscono sull'accompagnamento ritmico continuo del tamburo (ritmo di  bolero in tempo assai moderato) e sull'accompagnamento armonico.
Dal pianissimo iniziale presentato dal flauto la partitura prende via via vita in un  lento e graduale crescendo dinamico e con un costante arricchimento della "tavolozza" orchestrale che si distribuisce ora sul motivo conduttore ora sugli assetti ritmici, per un totale di diciotto sequenze musicali (nove ripetizioni del tema A e nove del tema B) fino al maestoso roboante finale segnato dagli orgiastici glissandi dei tromboni.
La sequenza è così articolata:
1.    Tema A, flauto
2.    Tema A, clarinetto
3.    Tema B, fagotto
4.    Tema B, clarinetto piccolo
5.    Tema A, oboe d'amore
6.    Tema A, tromba e flauto
7.    Tema B, sax tenore
8.    Tema B, sax sopranino poi soprano
9.    Tema A, corno, celesta, ottavini
10. Tema A, clarinetti, oboi
11. Tema B, trombone
12. Tema B, fiati
13. Tema A, violini e fiati
14. Tema A, violini, fiati e sax tenore
15. Tema B, violini e fiati
16. Tema B, violini e fiati
17. Tema A, archi e fiati
18. Tema B, archi e fiati

L'organico orchestrale previsto è un’ orchestra sinfonica con l'aggiunta di un oboe d'amore, di tre sassofoni e di un gong. Ogni qualvolta cambia il tema, Ravel inserisce strumenti al fine di curare il timbro e nello stesso tempo per sottolineare uno stato di confusione, tanto che nella parte finale gli strumenti sono tanti da alterare il riconoscimento del ritmo e delle note.
Uno degli aspetti che maggiormente colpisce del Bolero di Ravel, ed ancora stupisce a quasi ottant'anni dalla sua prima rappresentazione, è la forza del coinvolgimento emotivo - quasi fisicamente tangibile - che esso suscita nello spettatore, contrapposto all'estrema semplicità dei mezzi musicali impiegati.



La cavalcata delle Valchirie, di Richard Wagner


 
Nella mitologia scandinava le Valchirie erano  le  nove figlie che Wotan (Odino), il più antico e grande degli dèi, il creatore del mondo e di tutte le cose, aveva avuto da Erda, la dea della Terra.
Wotan era il signore della sapienza, conoscitore delle cose antiche e profonde, della magia e delle arti, che in seguito gli uomini appresero da lui. Egli non solo conosceva i misteri dei Nove mondi e l'ordine delle loro stirpi, ma anche il destino degli uomini e il fato stesso dell'universo.
Wotan era anche Sigrföðr ("padre della vittoria"), perché decideva nelle battaglie a chi dovesse andare la vittoria, e Valföðr, ("padre dei caduti"), perché erano suoi figli adottivi tutti coloro che cadevano in battaglia. Con questi due nomi egli distribuiva in battaglia la vittoria e la morte, entrambi doni graditi ai guerrieri.
Le Valchirie, anch’esse divinità, avevano il compito  di scegliere i più eroici tra i caduti e portarli nel Valhalla, dove venivano accolti dallo stesso Wotan e preparati a quella che sarà l’ultima battaglia alla fine del mondo, accanto agli dei, contro le forze del caos.
Esse vengono spesso rappresentate come aitanti fanciulle dai lunghi capelli biondi, armate sopra cavalli alati, con elmo e lancia; in realtà la leggenda vuole che le loro cavalcature fossero i branchi di lupi che giravano tra i cadaveri dei guerrieri morti in battaglia, e che le Valchirie stesse apparissero simili ai corvi  che volavano sopra i campi di battaglia. Secondo tale visione fantastica,  i branchi di lupi e i corvi che spazzavano un campo dopo una battaglia rappresentavano il mezzo per scegliere i corpi degli eroi caduti combattendo.

 
Richard Wagner, nel corso di 26 anni (dal 1848 al 1874)  compose la musica e scrisse il libretto de L'anello del Nibelungo, una tetralogia di quattro drammi musicali che costituiscono un continuum narrativo che si svolge nell'arco di un prologo e tre "giornate":
·        L'oro del Reno (prologo)
·        La Valchiria (prima giornata)
·        Sigfrido (seconda giornata)
·        Il crepuscolo degli dei (terza giornata)
Essa costituisce una delle più sterminate creazioni della storia dell'arte (15 ore di musica), e con tale opera Wagner inaugurò la sua nuova concezione drammatico-musicale, al punto che la Tetralogia può definirsi qualcosa di assolutamente nuovo.

 
La Cavalcata delle Valchirie (“Walkürenritt” o “Ritt der Walküren”) è il nome con cui è conosciuto il preludio del terzo atto de La Valchiria.
La scena rappresenta le Valchirie che si sono riunite assieme sui loro cavalli alati per cavalcare verso il Valhalla, ridendo allegramente e chiamandosi continuamente tra loro. Del tutto soggiogate alla volontà paterna, muteranno le loro risa in spavento quando vedranno la loro sorella maggiore Brunhilde, la figlia prediletta di Wotan, accorrere precipitosamente  verso di loro, dopo aver disubbidito alla volontà del padre.
L’opera La Valchiria si distingue musicalmente nella sua totalità in quanto si effonde in un canto amoroso in un sinfonismo pieno ed appassionato.
Wagner compose quest’opera nel suo esilio a Zurigo (aveva attivamente partecipato ai moti di Dresda e perciò venne esiliato dalla Germania); egli disse che i grandi miti di quest’opera acquistarono luce e potenza dalla visione delle grandi montagne svizzere imbiancate di neve, dei panorami intatti, delle acque lacustri terse. Sono perciò sempre presenti quadri dalla natura incontaminata, popolati da creature che sembrano emergere appena con la loro coscienza dagli elementi naturali in cui vivono. E’ così – a mio parere - che va intesa la Cavalcata, una potente pagina musicale, dal ritmo travolgente e coinvolgente, che risuona intorno agli infiniti spazi celesti.
La bozza di questo brano risale al 1854 ma l’arrangiamento orchestrale fu terminato solo nel 1856. La  sua prima rappresentazione fu eseguita nel 1870 nonostante il diniego dell’autore; addirittura lo spartito fu pubblicato e venduto a Lipsia contro la sua volontà, cosa che lo obbligò a scrivere numerose lettere di protesta contro la grande casa produttrice musicale Schott.

 
Wilhelm Furtwangler dirige la Wiener Philharmonic.

 

 

 

 

 
Il tema della cavalcata si distingue particolarmente per i suoi riferimenti nella cultura popolare, ma soprattutto viene abbinata a tutto ciò che è attinente all'arte della guerra.
E’ noto che venisse passata tra le radio ad onde corte dei soldati tedeschi che pilotavano i carri armati prima degli assalti; venne utilizzata anche come colonna sonora di numerosissimi documentari di guerra di produzione tedesca (Die Deutsche Wochenschau, fu una serie ricca di cronache e testimonianze di guerra raccolte sul campo).
E’ d’obbligo a queste aggiungere anche la sequenza dell’attacco aereo da Apocalypse Now, il film di Francis Ford Coppola del 1979 sulla guerra in Vietnam, nella scena in cui uno squadrone di elicotteri inserisce il brano mentre attacca un villaggio vietnamita per attuare una guerra psicologica.

 

 

 

lunedì 20 giugno 2011

Il Notturno in musica

Inizialmente nel 1700  il Notturno era una composizione eseguita all’aperto in occasione di festeggiamenti aristocratici o borghesi, destinata ad essere eseguita di notte e di prima mattina, senza nessuna allusione a particolari caratteristiche formali che contraddistinguesse questo brano. Fu Mozart il primo ad usare il termine Nachtstücke (Brani notturni) ed è celeberrima la sua Eine Kleine Nachtmusik (Piccola musica notturna) per quintetto d’archi K 525 (1787).
Col Romanticismo il titolo di Notturno identificò una composizione particolare, dal ritmo sostenuto e dalla melodia piana e cantabile, che si prefiggeva di evocare un’atmosfera rarefatta e sognante, ricca di una struggente malinconia, dove il mondo esterno, avvolto nell’oscurità o rischiarato da una luce crepuscolare, lasciava libero spazio agli stati d’animo più profondi.
Il suo ambiente naturale erano i salotti musicali e l’esecuzione era concepita per gli strumenti a tastiera, in continua evoluzione tecnico-musicale.
Benché i Notturni di Chopin siano i più amati dal pubblico e dagli interpreti e i più frequentemente eseguiti nelle sale da concerto, inventore del Notturno per pianoforte è il compositore e pianista irlandese John Field (1782-1837), autore di dodici di queste composizioni, dalle quali lo stesso  Chopin prese spunto per alcuni suoi Notturni.
Field  fu fervidamente apprezzato dai contemporanei (Spohr ne rammentava la capacità di creare atmosfere da sogno, e Glinka sosteneva che i suoni uscivano dalle sue dita «come perle sul velluto»), purtroppo in maniera non spiegabile avvenne rapidamente un progressivo offuscarsi della sua fama.
I Notturni di Chopin sono ventuno: diciotto furono pubblicati in vita, gli altri  furono pubblicati postumi, sulla base dei manoscritti lasciati dall’autore.
Se in John Field incontriamo atmosfere musicali tendenti al sentimentale, in Chopin l’impatto è drammatico, passionale, i suoi impulsi più intimi traboccano impetuosi, e la sua musica ne offre un’evocazione coinvolgente. I temi musicali sono contrastanti, troviamo accostate varie espressioni di stati d’animo (dolcezza, tenerezza, malinconia, sogni, drammaticità), arricchiti di abbellimenti che si fondono totalmente con la melodia. In Chopin trionfano il bel canto italiano e lo spirito polacco uniti indissolubilmente tra di loro.
Il Notturno op.9 n° 2  in Mib maggiore è uno dei più noti ed apprezzati, molto amato dallo stesso Chopin. E’ diviso in quattro sezioni non contrastanti tra di loro: presenta un’esposizione iniziale del tema, quindi una variazione dello stesso seguito da una modulazione in Sib maggiore, una seconda variazione, una nuova modulazione ed infine una coda finale. Chopin era solito suonarlo variandone il tema.

Maurizio Pollini (pianoforte)


Accenno molto rapidamente che il tema del notturno è largamente presente nella musica ottocentesca, dal Romanticismo fino all’Impressionismo, e si prolunga nella musica del Novecento. Notturni scrissero Schumann, Liszt, Debussy, Mahler, Faurè e molti altri (non è ovviamente possibile citare gli infiniti esempi di Notturno in musica [o di brani intitolati Sogno o simile] che si affollano nel Romanticismo).

giovedì 16 giugno 2011

Benvenuti

Benvenuti in questo nuovo spazio dedicato alla musica classica e lirica!

Herbert von Karajan dirige i Berliner Philharmoniker.
Guglielmo Tell, di Gioacchino Rossini